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Tra le vigne con Giulio Armani

In visita nei colli piacentini a uno dei migliori artigiani del vino in circolazione ed alla cantina dove nascono i suoi vini

Primi di febbraio. Sbuca il sole. È il giorno giusto per un giro in vigna, giorno di potatura, di lavoro febbrile, in attesa dei primi caldi che faranno ripartire l’attività vegetativa, dopo il lungo riposo.
Carichiamo due colleghi osti, giovani e curiosi come noi, Alessandro e Rocco di Vinello a Milano, e partiamo in direzione Emilia. Fermiamo l’auto sui primi colli, che sbucano rotondi dalla pianura, sul crinale che divide Val Trebbiola da Val di Nure, Tenuta La Stoppa.
Ci sta aspettando Giulio Armani (sì, siamo in ritardo) che qui è enologicamente cresciuto, iniziando come operaio agricolo all’inizio degli anni ’80, e proseguendo, dieci anni di gavetta dopo, a gestire direttamente la cantina, quando i consulenti, esperti di chimica enologica e votati all’uso di filtrazioni ed additivi, non sono più stati chiamati a lavorare, iniziando a produrre quello che oggi viene definito vino naturale.
La vera rivoluzione per lui è però nel 2005, quando inizia la coltivazione in proprio di alcuni ettari vitati sotto il Monte Denavolo, che dà il nome alla sua azienda, le cui uve sono vinificate tutte nella cantina di Elena Pantaleoni, dove ci siamo dati appuntamento.

 

Partiamo con una passeggiata nelle vigne, che presto si tramuta in una lezione di potatura. Giulio, forbici in mano, ci spiega la filosofia di gestione del campo: inerbimento, nessuna aggiunta di concime al terreno, nessun trattamento sulle piante e rispetto della loro naturale inclinazione a ramificare o a fruttificare, in funzione del loro vigore e della fertilità di quella porzione di terreno.
Qui non si segue nessun protocollo, nessuna certificazione, nessuna filosofia. Giulio è un uomo pratico, diretto, esperto, conosce a fondo queste piante e questi terreni, conosce il loro comportamento, non ha bisogno di seguire il pensiero di altri, metodi, manuali, essendo il suo istinto sufficiente a gestire al meglio tutto il processo: dalla pianta alla bottiglia.

 

 

 

 

Le idee sono semplici e chiare, l’obiettivo ben definito. Si vogliono ottenere vini che siano espressione di un territorio, delle peculiarità delle cultivar, del clima dell’annata e dell’esposizione dei vigneti. Le parcelle di Giulio sono due. Nel vecchio vigneto, il Debé, piantato nel 1975, sono distribuiti per filare marsanne, malvasia di Candia aromatica, ortrugo e in minor parte altre varietà sconosciute, tipiche della zona. La vigna è divisa, dall’alto verso il basso, in due. La parte superiore, maggiormente esposta ai raggi solari dà uve piccole e concentrate, di alta qualità, utilizzate per il Dinavolo. La parte bassa invece, con uve più succose, dà vita al Dinavolino. Come potete leggere i nomi non sono frutto di un errore tipografico, ma di una legge iniqua che vieta di dare al vino il nome di un luogo preciso. Dei marchi di qualità ne abbiamo già abbondantemente scritto. Inutile tornarci su.
Di nuovo impianto (2008) la vigna da cui nasce il Catavela nella quale, oltre alle varietà note sono state messe a dimora piante di santa maria, varietà locale in via di sparizione, ed alcune piante di sauvignon, di trebbiano e di moscato, com’era nella consuetudine delle vecchie vigne dei contadini della zona.

 

 

 

 

La cantina della tenuta La Stoppa, che, come detto, ospita anche i tini di fermentazione e le botti di Denavolo, è estremamente semplice. All’esterno, sotto una grande tettoia, abbiamo i tini di acciaio dove avviene la fermentazione primaria, con lunga macerazione sulle bucce per tutte e tre le etichette, a seconda delle esigenze, dai 2 mesi in su: come dice Giulio un bianco fatto come un rosso. La temperatura dei tini non è controllata, pur mantenendo la possibilità, nelle annate più calde, di raffreddarli irrorandoli con acqua di pozzo.
Dopo la svinatura i vini sono travasati nelle botti di legno, barrique o più capienti, o in tini di acciaio e riposano nella parte interrata della cantina. Il vino non è sottoposto a nessuna filtrazione e non gli viene aggiunto nulla, solamente alcuni milligrammi di solforosa prima dell’imbottigliamento, per le annate che lo richiedono. Le botti sono tante, le bottiglie ancora di più e l’atmosfera è magica e antica. Ma è ora di degustare.

 

 

 

 

Ci trasferiamo di qualche chilometro, all’Ostreria dei fratelli Pavesi (la r in più è voluta), dove viene praticata una cucina estremamente attenta alla tradizione, alle materie prime ed alla loro stagionalità. La cura dei particolari è eccellente, la presentazione impeccabile e la carta dei vini veramente interessante e dai ricarichi onesti. Veniamo guidati con estrema attenzione e gentilezza da Giacomo, l’oste, in un’esperienza gastronomica di livello assoluto, ottimamente accompagnata dai vini di Denavolo e dal racconto di Giulio, perdendoci in mille discussioni sulla gestione della cantina e sul futuro del nostro piccolo e fragile mondo del vino vero.

 

 

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