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Cascina degli Ulivi

Stefano Bellotti è uno dei primi produttori di vino biodinamico italiani.

L’incontro con i vini di Cascina degli Ulivi, avvenuto casualmente qualche anno fa, ha sicuramente segnato un punto di svolta fondamentale nel mio approccio al mondo del vino. Non esagero dicendo che sono entrato in un universo enologico parallelo, iniziando un mio personale percorso nel mondo dei vini naturali, così distanti dai parametri che fino a quel giorno avevo interiorizzato per comprendere ciò che stava nel bicchiere.

 

Ho assaggiato i vini da quel giorno in diverse occasioni ed eventi ma mai avevo avuto l’occasione di toccare con mano la realtà della cascina. Spinto dalla curiosità e dal desiderio di voler osservare da dentro questa realtà, com’è nella filosofia di Linearetta, con la compagnia di Alessandro e Marco, siamo saltati in macchina in un assolato venerdì di fine settembre e ci siamo diretti verso Novi Ligure, dove questa mia rinascita degustativa è cominciata.

 

Per arrivare percorriamo una stretta strada tra le colline, oltrepassiamo il cancello di ingresso e percorriamo una sterrata che costeggia la zona di allevamento della cascina. Ci troviamo infatti in una tenuta perlopiù autosufficiente. Vengono allevati manzi, capre, anatre, oche e asini, coltivati grani antichi, utilizzati per le panificazioni nel forno a legna, ortaggi e altro, che danno da mangiare ai dipendenti ed agli ospiti dell’agriturismo.
È l’ora di pranzo, ed i quasi 30 dipendenti e volontari impegnati nei lavori diurni, sono seduti ad una lunga tavolata sotto il pergolato in un clima disteso e di condivisione, in compagnia di Stefano Bellotti, creatore e tutt’ora deus ex machina dell’azienda agricola.

 

Non appena finita la pausa Ilaria, responsabile delle degustazioni, ci fa salire in macchina e ci guida alla scoperta dei vigneti più distanti dalla tenuta ma più rappresentativi per la produzione dei vini di Stefano: Filagnotti e Montemarino.

 

La parcella denominata Filagnotti è esposta a Sud Ovest e si affaccia direttamente sul castello di Tassarolo. È uno dei primi vigneti presi in affitto da Stefano ormai 40 anni fa. È qui che iniziò uno tra i primi esperimenti di viticoltura biodinamica in Italia, guidato da Luigi Migliavacca, fondatore dell’omonima tenuta monferrina, gestita ora dal figlio dopo la sua prematura scomparsa. Mentre nel resto del paese imperava il mito della produttività ed era all’ordine del giorno l’utilizzo di composti chimici, molti dei quali vengono oggi considerati veri e propri veleni, leggasi DDT e compagnia cantante, tra le colline di Novi si iniziava a praticare l’inerbimento dei filari, la semina del sovescio in autunno, si distribuivano, su piante e terreni, preparati biodinamici e tisane di erbe, come teorizzato ad inizio XIX secolo da Steiner, e si mettevano in atto tutte le pratiche che potessero portare a produrre uve sane e grandi vini nel più totale rispetto della biodiversità e del suolo.
Nella parcella Filagnotti troviamo principalmente uve cortese, da cui nasce l’omonimo vino bianco, e uve barbera, le piante sono allevate con un Guyot alto, per cercare di evitare la predazione delle uve da parte di animali selvatici e per mantenere le foglie lontane dal suolo e quindi preservarle dall’umidità. Il terreno è argilloso ferroso e, nonostante l’estate caldissima appena finita, è ricco di vita. Annusandone una zolla possiamo percepire l’intenso odore di muschio e di sotto bosco, segnale di un’intensa attività microbica, fondamentale per uno sviluppo armonico della vite.

 

 

 

È qui che, appena oltre la strada c’è lo storico vigneto da cui nasce il vino “A Demûa” da una insolita unione di vigneti autoctoni e non: Riesling italico, Verdea, Bosco, Timorasso e Moscatella (una varietà antica imparentata con lo Chassellas Doré) alcuni di questi, si racconta, portati qui dai diversi eserciti che passarono da queste zone negli ultimi secoli. Purtroppo l’annata sfortunata, con gelate primaverili e caprioli assetati in estate, non ha permesso la vinificazione dell’annata 2017. Una peculiarità dei vignaioli artigiani: l’accettazione, sia nell’abbondanza, sia nella malasorte, di quello che la natura offre di anno in anno.

 

Ci spostiamo di circa un chilometro ed entriamo nella magnifica conca dove si trova la parcella chiamata Montemarino. Il terreno è argilloso calcareo ed è esposto a sud. Il nome non è casuale: oltre a poter ammirare tutti i vigneti ed i boschi, che si adagiano qui attorno, si nota sullo sfondo la svettante sagoma del Monto Tobbio. Siamo a 30km dal mare e i venti, che spesso risalgono la valle, portano qui il loro influsso sia da un punto di vista climatico sia da un punto di vista di micronutrienti, essendo l’aria resa umida da un’acqua ricca in sali minerali, raccolti tra le onde del Tirreno.
Qui vengono coltivate, oltre a numerose viti di cortese, dalle quali vengono vinificati il vino omonimo della parcella e l’Ivag, anche piante di dolcetto, nibiö e pinolo piantate in questa parcella nel 1922.
Rimaniamo particolarmente e piacevolmente sorpresi da due aspetti. Il primo è che, a seguito della svinatura, i vinaccioli sono stati sparsi in mezzo ai vigneti per concimare le piante e che, secondo aspetto curioso, all’inizio dei filari, alle volte anche in mezzo, crescono piante da frutto: fichi, peri ed altro ancora, a testimoniare l’importanza data alla biodiversità da Stefano ed i suoi collaboratori.

 

 

Entriamo infine in cantina. Alcune fermentazioni sono in pieno svolgimento e con esse i rimontaggi continui. L’odore è avvolgente ed emozionante. L’attesa per vedere cosa ha regalato l’annata 2017 è palpabile nel volto della nostra accompagnatrice ed anche noi non possiamo che essere curiosi. I vini qui riposano esclusivamente in cemento o legni grandi, anche appartenuti ad altri famosi vignaioli italiani (non facciamo nomi!). Giusto un paio di tonneaux (500 litri) e nessuna barrique. Il legno serve a dare la giusta microossigenazione ai mosti ed ai vini in affinamento, mai sapori o odori. I pochi tank di acciaio presenti servono per i travasi o prima degli imbottigliamenti. Al momento della nostra visita sono vuoti.
Iniziamo qualche assaggio dalle botti per prepararci alla vera e propria degustazione che ci aspetta.

 

Filagnotti e Montemarino del 2016 già sono abbastanza delineati nel loro profilo finale anche se sicuramente un altro anno di affinamento gli darà il tocco finale verso l’eccellenza che rappresentano. Si può riconoscere la loro diversità seppur partano dal medesimo uvaggio rispettivamente l’uno con il suo frutto in evidenza e l’altro con una bella acidità a far da padrona.
Mounbè e Nibiô 2016 hanno ancora qualche zucchero residuo, un frutto estremamente presente e un buon corpo, figlio della calda annata passata.

 

Non vediamo l’ora dell’imbottigliamento e di una vera e propria degustazione di queste annate. Ma passiamo ora all’assaggio dei vini già in commercio. A partire dal 2016 fino al 2007. Un vero e proprio viaggio nel tempo e nella storia di questa cantina.

 

 

 

Il Semplicemente Bianco 2016 si presenta fresco e pulito al naso, con una bella ed avvolgente nota floreale. Al palato notiamo prima una buona sapidità, in seguito una freschezza che ci pervade bilanciandolo sapientemente. Unica particolarità è la bolla, che in questo caso non è presente. Non tutti i lotti di questa annata hanno, infatti, svolto la propria rifermentazione in bottiglia. Una curiosità che mostra quanta artigianalità ci sia nella produzione di questo vino.

L’Ivag 2016 si mostra fin da subito fresco e fruttato, ma probabilmente ancora troppo giovane. Ce ne rendiamo conto confrontandolo con i ricordi dell’Ivag 2015, ben più complesso e bilanciato. Basta fare un confronto tra il colore dei calici delle due annate per capire quanto, anche in un solo anno, questo prodotto si possa evolvere, bilanciandosi e completandosi. La vena acida fa presagire un vino di ottime prospettive se bevuto tra qualche tempo.

Il Filagnotti 2015 si avvicina sempre di più a quella che probabilmente è la fase di piena maturità. Note di pesche e frutti a bacca gialla, leggermente appassiti, vengono ravvivate da un’acidità fuori dal comune, e da una sapidità finale che ben bilancia questo calice. Farlo maturare ancora un poco probabilmente ci donerà un calice di grandissime qualità.

Il Montemarino 2014 è ormai pronto; un calice evoluto e sapido, marino. L’influsso dei venti tirrenici, in questo caso, è evidente anche nel calice. Un vino che ti aspetteresti prodotto con uve coltivate su qualche piccolo terrazzamento ligure, sicuramente non nel basso Piemonte. L’acidità regge ancora il colpo, anche se non possiamo non notare una certa nota ossidativa.

L’ A Demùa 2014 ci mostra un naso pulito, con note affumicate, leggermente aromatiche e sapide. Una nota ossidativa, soprattutto al palato, non rende il calice meno accattivante, grazie ad una buona acidità a controbilanciare. Di ottima struttura.

La Merla del 2007 è un calice dal naso profumato, denso, alcolico, etereo e floreale. Al palato il sorso è caldo, ben bilanciato ma con una punta aggressiva. Queste caratteristiche, unite a una buona struttura, ci mostrano un vino evoluto, ottimo in abbinamento con dei formaggi ben stagionati o con un ottimo patè di foie gras.

Il Semplicemente Rosso 2015 è un ottimo base. Dal corpo snello, il tannino risulta leggero e vivace, in evoluzione. Notiamo una leggera nota macerata sul finale. Il sorso si chiude con una buona acidità ed un rimando ai frutti di bosco a bacca rossa, freschi.

Il Moumbè 2012 è un rosso di buona struttura, asciutto e nervoso, con una buona sapidità. Equilibrato in modo sapiente, ha probabilmente bisogno di ancora un po’ di tempo per raggiungere la fase di maturità.

Infine l’Etoile 2007 è un Moumbè raffinato, più evoluto, probabilmente nel pieno della propria maturità. Il tannino risulta perfettamente integrato, il sorso è lungo e piacevole, aggressivo in certi momenti, ma mai stancante. Un calice davvero importante.

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